Che mondo sarebbe senza Nutella?

SARMASIK di Tolga Karaçelik (2015)

Un mondo decisamente più violento, lacerato da incomprensioni spesso infantili e dalla crescita incontrollata e innaturale di una pianta rampicante; ecco cosa sarebbe un mondo senza nutella. Di cosa sto parlando? Di quella ciurma di marinai rimasta per mesi in ostaggio della loro stessa nave. I protagonisti di Sarmasik sono ancorati a largo della costa turca ormai da mesi, in attesa che le vicende burrascose dell’armatore si risolvano sbloccando così i loro stipendi. Le riserve alimentari in realtà non mancano, ma basta poco per surriscaldare gli animi, soprattutto quando sei costretto a vivere sul ponte con gente che non apprezzi particolarmente. Diciamo che l’episodio della nutella è solo un momento, anche piuttosto scherzoso, eppure da lì le cose cominciano ad andare proprio male. Perciò, al di là dell’insegnamento principe: mai dimenticare una scorta di nutella nei viaggi a lunga percorrenza, diciamo che il film di Karaçelik ambienta una storia classica in un contesto decisamente inconsueto: quello appunto di una nave cargo.

Imbarchiamoci quindi all’interno di una storia impregnata di mistero, quasi di metafisica.  Ma prima di salire conosciamo i marinai attraverso le brevi presentazioni dell’incipit che terminano tutte nella stessa maniera: uno sguardo in camera che sembra rivolgere una domanda proprio a noi, forse il senso della storia che stiamo per vedere? E a noi venite a chiederlo?

Abitualmente nelle pellicole d’assedio si configura un pericolo esterno declinato in mille modi: un gruppo di malviventi, un esercito nemico, un’orda di zombi. Un pretesto per riflettere sulle dinamiche di convivenza all’interno del gruppo assediato. Sarmasik si può facilmente ascrivere a questa categoria con l’unica differenza che il pericolo esterno non esiste o forse è più sottile di quanto si possa immaginare. Per questi marinai la prospettiva di tornare sulla terraferma non è così allettante e in qualche modo le presentazioni iniziali possono darci qualche suggerimento in merito.

La convivenza forzata e l’aria di mare non giova alla sanità mentale dei protagonisti che declina rapidamente. Basta una puerile provocazione per innescare la fiamma del conflitto e della paranoia, tra gente che scompare e riappare senza spiegazioni  e un comandante che esce dalla sua cabina solo per surriscaldare gli animi. Insomma siamo di fronte a una barca alla deriva, o meglio, in secca, senza un conducente e alla mercé di persone non all’altezza. Questo genere di film molto spesso stringe un legame diretto con la realtà sociale e politica del paese a cui si riferisce. Sarmasik non contraddice questa regola.

Il tutto è ammantato dal mistero e dalla ricerca di un senso che sfugge e inghiotte i protagonisti stessi in un letterale ginepraio – l’edera di cui si parlava all’inizio e che cresce dalle ferite inflitte o autoinflitte dai personaggi stessi. L’immagine di questa pianta assume un valore metaforico forte, talmente forte che spero possa trovare una lampante spiegazione nelle vostre menti come è successo a me. Interpretazione che ovviamente non condividerò.

Appunti di viaggio in mare:

  1. —> Nelle presentazioni dell’incipit dimenticavo che vi è un ultimo frammento dedicato a un luogo infestato dall’edera. Il mistero si infittisce.